SINDROME DA DOLORE MIOFASCIALE
Il termine miofasciale è apparso in letteratura dal 1940 quando Tavell, Steindler e altri iniziarono a descrivere le aree Trigger miofasciali nel segmento lombare.
Nel 1983 David Simons, Janet Travell e Lois Simons pubblicano il primo manuale riguardo i trigger point ed il dolore miofasciale.
Circa nello stesso periodo Janda e Lewit (Repubblica Ceca) diedero il loro significativo contributo nella descrizione e trattamento degli squilibri posturali e tecniche come il rilascio post isometrico.
DIAGNOSI
Per effettuare una buona diagnosi riguardo i Trigger Point è importante considerare i meccanismi specifici
responsabili della loro formazione. Un errore comune è quello di basarsi solamente sul dolore riferito per identificare il muscolo responsabile della disfunzione.
Elementi indispensabili sono ricavati al momento dell’anamnesi del paziente, ponendo domande specifiche che permettano di ottenere tutte le informazioni sui possibilimeccanismi che hanno creato e che contribuiscono al mantenimento della disfunzione.
Sarà necessario indagare :
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Traumi pregressi
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Se il trauma è stato di tipo diretto, conoscere la direzione della forza esterna
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La posizione del corpo durante il trauma
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Il movimento specifico del corpo dopo l’applicazione dopo il trauma
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Postura specifica che il paziente assume abitualmente
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Presenza di cicatrici
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Se effettua movimenti ripetitivi, conoscere la loro direzione
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Meccanismo compensatorio delle pelvi e della colonna in caso di asimettrie
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Caratteristiche posizionali e funzionali dei piedi in caso di male appoggio plantare
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Tipologia e dinamica dentale
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Movimenti funzionali
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Movimenti fondamentali
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Disfunzioni oculari
CARATTERISTICHE DEI TRIGGER POINTS
1) Ogni muscolo possiede aree di distribuzione specifica del dolore mio fasciale.
Abitualmente premendo con un dito su un Trigger Point è possibile aumentare l’intensità del dolore proiettato o semplicemente farlo emergere. L’ampiezza della distribuzione del dolore riferito, non dipende dalla grandezza del muscolo ma dal grado di irritabilità del Trigger Point.
2) I Trigger Point si possono attivare a causa di traumi diretti, microtraumi ripetitivi, sovraccarico, dall’eccesso di stiramento e accorciamento del muscolo.
3) I Trigger Point possono attivarsi per azione indiretta da parte di altri punti trigger (trigger point satellite e
secondari), problematiche viscerali e fattori emotivi.
I Trigger Point satellite si attivano perché si trovano nell’area di proiezione del dolore di un muscolo primario o perché sono in un’area di dolore viscerale, ne è l’esempio calzante l’infarto del miocardio o la colica renale.
I Trigger Point secondari si possono sviluppare in muscoli sinergici al TP primario oppure in muscoli antagonisti.
4) L’irritabilità del TP attivi può avere picchi temporali, ore o giorni in cui è maggiore.
5) Il Trigger Point latente può essere attivato da più variabili, tra cui i fattori di perpetuazione, ovvero abitudini ripetute nella giornata del
Paziente, che concorrono ad alimentare il TP. Il paziente spesso non è consapevole che gestie azioni quotidiane, contribuiscano alla sua disfunzione.
6) I sintomi del Trigger Point attivo possono durare a lungo per più motivi.
Quando dopo un trauma, le strutture guariscono, i muscoli fanno una sorta di deprogrammazione evitando il dolore e limitando il movimento, questo causerà rigidità e dolore muscolare cronico.
7) I Trigger Point non causano solo dolore ma possono provocare capogiri, acufeni, disturbi vestibolari, riflessi osteotendinei.
Un esempio è il riflesso achilleo, che migliora dopo lo spegnimento del TP attivo nel soleo, oppure la sensazione di ovattamento percepita all’orecchio generata da un TP dello pterigoideo mediale.
8) I Trigger Point miofasciali causano rigidità e debolezza del muscolo nel quale sono localizzati.
La debolezza si manifesta senza atrofia del muscolo colpito, ed è dovuta ad una inibizione centrale per tutelare il muscolo da una contrazione di grado doloroso.